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I Libri candidati al Premio Strega: “Nina sull’argine” di Veronica Galletta e “Divorzio di velluto” di Jana Karšaiová

Recensiamo per i nostri lettori altri due dei libri candidati alla LXXVI edizione del Premio Strega, della cui giuria l’Istituto Italiano di cultura di Mosca fa parte.

Non tutti questi libri per ora sono disponibili nella Biblioteca dell’IIC, ma lo saranno presto!

Veronica Galletta, Nina sull’argine. Minimum fax, Roma 2021

Con questo romanzo modellato sull’esperienza, Veronica Galletta ha scritto un apologo sulla vulnerabilità che si inserisce nell’ampia tradizione della letteratura sul lavoro (abbiamo di recente parlato di un altro libro che può si inserisce – in maniera diversissima – nello stesso filone, Ipotesi di una sconfitta di Giorgio Falco).

Caterina (Nina), la protagonista di questo romanzo, è una donna che ha perso ogni riferimento: lontana dalla sua terra d’origine, separata (dolorosamente) da un marito che vive ancora nei suoi sentimenti ma che è già lontano nello spazio e nel tempo. Nella sua vita il posto centrale è occupato dal lavoro: ha un incarico di ingegnere responsabile dei lavori per la costruzione dell’argine di Spina, piccolo insediamento dell’alta pianura padana. Giovane, in un ambiente prettamente maschile, si confronta con difficoltà di ogni genere: ostacoli tecnici, proteste degli ambientalisti, responsabilità per la sicurezza degli operai. Giorno dopo giorno, il cantiere finisce con il condizionare tutti gli aspetti della sua esistenza: i sentimenti privati, il rapporto con la Sicilia come terra d’origine, le dinamiche all’interno dell’ufficio. A volte si sente svanire nella nebbia che circonda il luogo dove si svolge questa complessa fase della sua vita. È tentata di abbandonare, dorme poco e male. Ma, piano piano, l’anonima umanità che la circonda – geometri, assessori, gruisti, vedove di operai – acquista un volto. Così l’argine viene realizzato, in un movimento continuo di stagioni e paesaggi, fino al giorno del collaudo, quando Caterina, dopo una notte in cui fa i conti con tutti i suoi fantasmi, si congeda da quel mondo. E forse è l’inizio di una rinascita.

«Caterina non è più tornata a Spina dal giorno del collaudo. Ci pensa spesso, si ripromette di andare, ma poi non lo fa. Ogni volta che piove verifica i livelli degli idrometri più vicini, e, se l’evento è tale da finire in cronaca, seppur locale, scandaglia le testate online, alla ricerca di immagini, di tracce. Negli anni, l’argine di Spina è diventato un punto della sua personale costellazione di cantieri, fra tutti la sua stella polare, in un cielo che si allunga sull’intera pianura. Eppure non va mai. Le basta chiudere gli occhi, e cominciare a immaginare. Arrivando dall’autostrada, al bivio per Fulchré, prendere la direzione opposta, verso la città. Attraversata Spina, arrivare fino al ponte, girare a sinistra per la vicinale, e parcheggiare. Poi a piedi, costeggiare il canale scolmatore, verso il fiume».

 

Jana Karšaiová, Divorzio di velluto. Feltrinelli, Milano 2022

Ecco un altro libro che, come E poi saremo salvi di Alessandra Carati, di cui abbiamo già parlato, affronta il tema della perdita delle radici e della difficoltà di ricostruire un’identità affettiva e culturale fuori dal proprio contesto d’origine. Se nel romanzo della Carati il distacco per la protagonista avviene a causa di traumatici avvenimenti bellici, in questo libro la frattura è forse più esistenziale che storica, anche se lo sfondo è quello della separazione tra Slovacchia e Repubblica Ceca, un “divorzio di velluto” appunto.

È il primo romanzo di un’autrice slovacca che ha scelto l’italiano come lingua elettiva, entrando così a far parte di un settore assai notevole nel panorama della letteratura italiana contemporanea: la cosiddetta letteratura migrante, o transnazionale, alla cui componente femminile è stato recentemente dedicato un numero speciale di “Inostrannaja literatura”.

Una donna che non trova le proprie radici, in una famiglia in cui non si riconosce, in un paese che si divide. La protagonista cerca un proprio ruolo all’interno di questo universo senza tuttavia trovarlo. Non sarà la sua amica del cuore a aiutarla in questa ricerca, in fondo anche lei è alla ricerca di se stessa, non sarà un marito fedifrago sposato troppo presto e senza una vera convinzione, non sarà l’amore per la propria lingua né per i luoghi della propria infanzia.

La Karšaiová cerca di raccontarci lo sradicamento nei vari contesti: la nazione che si divide, il matrimonio che si strappa, l’amicizia che si sfalda. Non tutto ma qualcosa potrebbe ricomporsi, la fuga della protagonista verso l’America, dalla sorella che ha sempre amato, sarà forse una soluzione, ma non sapremo se intermedia o finale.

Sullo sfondo della vicenda personale, a nostro parere, tuttavia gli interventi per dare una rappresentazione corale del contesto storico sono forse un po’ troppo bruschi, e non sempre si armonizzano nel contesto narrativo.

«Quando era partita Dora stava piovendo e la stazione degli autobus di Bratislava non aveva ancora avuto il tempo e l’occasione di smettere di essere ciò che era sempre stata, un luogo di smistamento degli autobus vecchi e sporchi che trasportavano persone abituate a tenere la testa bassa perché era quello che gli chiedeva il loro paese. I giovani come Dora, o Viera, non ci riuscivano. Katarína aveva pensato che sua sorella lasciava lei, non la Slovacchia, non il loro piccolo mondo, solo lei. Ma Dora aveva seguito la propria strada, a volte per andare avanti bisogna abbandonare e abbandonarsi, a Katarína era chiaro adesso».